Oggi per il Calendario del Cibo Italiano AIFB si onorano i fagioli, uno dei legumi che preferisco e importante per tutta l’alimentazione mondiale tanto è vero che questo 2016 è stato proclamato anno mondiale dei legumi dalla FA. Ambasciatrice di questa giornata così importante è Elena Broglia leggete qui il suo post.
Oggi invece della solita ricetta ho pensato di farvi conoscere i fagioli Gialét, fagioli tipici della Val Belluna, me ne ha parlato Laura Solinas, esponente di spicco di SlowBeans e produttrice di fagioli Gialét.
Cosa sono i fagioli gialet e perchè ha deciso di riscoprire questo prodotto ?
Il fagiolo gialét è un fagiolo dal gusto delicato e dalla buccia che non si fa sentire. Di grande versatilità e ricercatezza, da sempre riservato alle occasioni importanti o a destinazioni speciali quali Città del Vaticano.
Coltivare gialét è stata una scelta naturale alcuni anni fa, quando ho rinnovato l’impostazione della azienda Agricola che conduco: da produttrice di commodities a promotrice di buon cibo a rischio di abbandono.
Avevo poca esperienza sui legumi, cibo che non aveva un ruolo di rilievo nelle abitudini alimentari della mia famiglia, e ho voluto approfondire non solo le tecniche colturali ma anche gli aspetti legati alla cultura e alla tradizione locale, al gusto in rapporto a legumi più o meno affini.
E tra curiosità e approccio scientifico sto imparando molto, e mi fa piacere condividere quel che so.
Dove vengono coltivati ?
Il gialét era ed è coltivato tradizionalmente in ValBelluna, e – soprattutto un tempo – in alcune aree montane della provincia, Valle di Cadore ad esempio.
In Italia solo nella vicina provincia di Udine in pochi paesi si trova questo fagiolo, con nome diverso e senza significativa commercializzazione.
Pare che siano proprio i suoi luoghi di elezione: tentativi di coltivarlo poche decine di km a valle hanno dato risultati pessimi, vuole proprio le nostre notti estive fresche!
Quali sono i passaggi principali della coltivazione e le difficoltà maggiori?
Il gialét è un fagiolo rampicante, come la maggior parte di quelli tipici delle zone montane: richiede quindi un certo impegno nell’impianto con i tutori che ora sono per lo più di bambu. Qualcuno continua a praticare la consociazione con il mais, diffusa già nel centroamerica da dove provengono sia mais che fagioli. I problemi colturali sono
- difendersi da chi ama i fagioli come e più di noi: le limacce nelle prime fasi, poi lepri e caprioli e cervi. Questi sanno diventando una vera piaga, ed è piuttosto costoso recintare tutto, con reti alte visto che saltano agevolmente 2m.
- vermi, insetti e afidi sono abbastanza facilmente controllabili con buone pratiche:
il sovescio (subito prima dei fagioli coltivare una pianta che cresce velocemente, tappezza il terreno e repelle i vermi nematodi come la senape bianca, interrandola prima che fiorisca in modo che fornisca anche nutrimento ); la tutela e il richiamo di insetti utili quali coccinelle, crisope, fitoseidi che mangiano o parassitizzano.
Qualcuno usa repellenti e coadiuvanti e rinforzanti delle difese della pianta, come i macerati di ortica o di equiseto, l’estratto di semi di pompelmo. In casi estremi facciamo ricorso a principi ammessi in agricoltura biologica quali l’estratto dell’olio di neem.
Purtroppo un virus, che può arrivare dall’ambiente soprattutto attraverso le punture di assaggio degli afidi, rimane nel germoplasma trasmettendosi alle generazioni succcessive. Ecco perché noi dell’Associazione per la tutela facciamo molta attenzione a selezionare in campo le piante da seme, sane e senza sintomi, prima ancora di fare la usuale selezione volta a mantenere i caratteri distintivi dell’ecotipo.
Rispetto ad altri fagioli impegnamo molta più manodopera per la raccolta, dato che il gialet matura scalarmente e quando il baccello è secco si apre rilasciando i semi a terra. _Dobbiamo quindi passare 1-2 volte a settimana, da metà settembre a fine ottobre. Poi si deve finire di far seccare i baccelli al sole (visto che non si possono raccogliere totalmente secchi). La pulizia e la selezione sono laboriosissime, data la piccolezza del gialet. Ma alla fine proponiamo semi belli da vedere oltre che sani!
Oltre ai parassiti animali dobbiamo prevenire le malattie fungine e le batteriosi. Lo facciamo curando molto il terreno, le successioni con colture che non condividano (ad esempio, in luoghi umidi è sconsigliato mettere fagioli dopo le patate. La precessione ideale è un cereale a paglia, varie altre strategie sono possibili. In caso di piogge ripetute usiamo composti di rame, che funzionano piuttosto bene proprio in prevenzione. È importante perché il gialét è piuttosto sensibile alla ruggine, e se questa si manifesta quando la pianta inizia a fiorire la produzione cala drasticamente per l’incapacità della pianta di fare sufficiente fotosintesi, a causa delle foglie malate con poca superficie verde utile.
Anche terminato il raccolto si attua una difesa con mezzi “doli” ovvero portando alcuni giorni i fagioli a -20°C. I fagioli sono ben secchi, e questo non influisce sulle loro caratteristiche organolettiche né sulla germinabilità. In compenso si inattiva il tonchio, uova comprese: è un piccolo coleottero che a temperatura ambiente si ciba dei fagioli, e si riproduce fino a lasciare … più buchi che sostanza!
La selezione manuale che segue, per eliminare fagioli macchiati, è molto impegnativa data la piccola dimensione. Una volta svolta a tempo perso soprattutto dalle donne anziane (ma ci vogliono buoni occhi!) ora è una delle criticità per la dedizione e il tempo che richiede. Esperimenti fatti con una selezionatrice ottica non hanno dato i risultati sperati, d’altra parte fino a che non si velocizzerà questa fase i coltivatori non vorranno aumentare le aree coltivate, dopo coltivazione e raccolto – che già sono impegnativi – ci vuole un’ora di lavoro, divisa in almeno 5 fasi, per arrivare a una confezione da 1 kg di gialét.
In estrema sintesi, per chi coltiva gialét presidio SlowFood l’imperativo del “pulito” si traduce in maggiori controlli e maggior competenza, il che …porta valore al territorio! Inoltre ci siamo resi conto che se da un lato la presenza di tanti nuclei di coltivatori sparsi per la vallata è una ricchezza, nel corso dei decenni alcune buone pratiche
Cos’è il progetto Slows Beans e che importanza riveste ?
Con SlowBeans si è voluto dar vita a una rete che condivide valori, dove ci si confronta e ci si aggiorna e ci si sostiene in vario modo. Siamo tutti rappresentanti di una qualche eccellenza, tuttavia vogliamo dare il messaggio del valore della diversità e del legame con culture e territori.
Emblematico è il fatto che proponiamo la “zuppa di slowbeans” con ingredienti e proporzioni sempre diversi, il buono è nell’insieme. E che portiamo in giro la cesta della biodiversità leguminosa, facciamo vedere la ricca e bella varietà di un paniere di legumi presidio.
Per inciso, una zuppa di legumi-presidio è stata inserita nel menu degli astronauti che la hanno molto apprezzata, come ha esplicitato Samantha Cristoforetti.
http://slowfood.com/terramadreday/pagine/ita/pagina3.lasso?-id_pg=119
(intorno al minuto 1)
http://www.repubblica.it/scienze/2015/05/29/news/cibo_spaziale_per_terrestri_la_cena_di_astrosamantha_sbarca_sulla_terra-115498482/
Ci troviamo in manifestazioni targate Slows Beans, e ogni anno organizziamo le fagioliadi: una gara semiseria ove cuciniamo noi produttori, e ci proponiamo come “conoscitori a tutto tondo” dei nostri legumi.
A dicembre 2014 il gialet ha vinto, ne siamo stati felici e orgogliosi. Ma prevale il piacere di sperimentare e gustare cibi della tradizione in ricette innovative adatte alla cucina famigliare .
Dopo alcuni anni di mirabile organizzazione a cura della condotta SlowFoood di Lucca lo scorso anno siano stati ospitati a Orvieto. Quest’anno, anno internazionale dei legumi, Slow Bean sarà presso il MUSE di Trento, che ha realizzato un bell’orto-catalogo di legumi e organizzerà vari eventi scientifici e di intrattenimento per l’occasione.
Questo è l’anno mondiale dei legumi, che importanza ha questo alimento nel mondo ?
I fagioli sono il secondo legume più coltivato al mondo, dopo la soia che però è in gran parte destinata a cibo per animali.
In Paesi come il Brasile si consumano fagioli con la frequenza della pasta da noi, e il governo ha recentemente lanciato inviti a diversificare di più le abitudini tra i vari tipi disponibili, in modo da attutire l’impatto economico di periodi di siccità in aree legate a singole varietà, che hanno portato a impennate di prezzi e aumenta la necessità di importazione, nonostante il Brasile sia il secondo maggior produttore mondiale con circa 3milioni di tonnellate/anno, i 2/3 dell’India e il doppio della Cina.
In Asia (India, Cina, Corea, Myanmar) i legumi sono cibo quasi quotidiano, anche sotto forma di germogli, di salse fermentate, di “formaggi” vegetali, di preparazioni dolci. In Africa (Tanzania, Angola, Camerun) si producone e consumano legumi, purtroppo con insufficienti o assenti strategie per eliminare i piccoli insetti quali il tonchio del fagiolo che distruggono le provviste.
La FAO e le Nazioni Unite hanno dichiarato il 2016 anno internazionale dei legumi per promuoverne il consumo, che fa bene alla salute e alla terra.
I legumi, gustosi e poveri di grassi, sono economici: anche i più costosi sono concorrenziali rispetto alle proteine animali. Inoltra richiedono molta meno acqua: neanche un decimo rispetto a carne di pollo, un quarantesimo rispetto alla carne bovina. Anche la necessità di terra è ridotta, un pasto di cereali e legumi richiede 1/7 del terreno richiesto da un pasto animale. E non produce gas serra, come fa l’allevamento che secondo il World Watch Institute ne è responsabile del 13%. Inoltre i legumi fanno bene al suolo perché ospitano in simbiosi batteri capaci di utilizzare l’azoto atmosferico, lasciando i campi arricchiti senza ricorrere a concimazioni chimiche.
I dietologi li consigliano come fondamentali in una dieta equilibrata, e considerano con interesse il loro basso indice glicemico.
In Italia che importanza diamo ai legumi ?
In Italia il consumo di legumi è calato dell’81% dal 1961 al 2015, anche se dal 2011 c’è qualche accenno di crescita. (fonte: confagricoltura-ISTAT).
Insomma, dobbiamo recuperare!
Eppure ci sono regioni come la Toscana e il Veneto che sono state la culla di diffusione dei fagioli centroamericani in Italia, nel ‘500. In Valbelluna negli orti famigliari si coltivano una quarantina di varietà localmente adattate di fagiolo, ma la commercializzazione è ristretta a Fagiolo di Lamon IGP e gialét – Presidio SlowFood, con qualche segnale di crescita per i fagioli “prodotto Agricolo Tradizionale”, quali Bala Rossa, Bonel, Mame dell’Alpago.
Non dimentichiamo poi che in Italia, da ben prima dell’avvento dei fagioli portati da Cristoforo Colombo, ovunque era già consumata una gran varietà di altri legumi: piselli, ceci, lenticchie, cicerchie, lupini, fagioli dall’occhio.
Ora la produzione maggiore di fagioli secchi italiani si concentra in Piemonte (soprattutto borlotti), che da solo produce quasi quanto il resto d’Italia, e in Calabria. Si tratta di quantità piccole, parliamo di circa 6000 t in Piemonte e qualche centinaio nelle regioni pure vocate come Campania, Veneto, toscana, Abruzzo.
Ma non ci sono solo i fagioli, abbiamo un fantastico serbatoio di biodiversità leguminosa legata a tradizioni ancora abbastanza radicate, che sarebbe un vero peccato perdere.
Di lenticchie si trovano tuttora tanti tipi, dal gusto e dagli usi diversi.
Tra i piselli – in Veneto non si può dimenticare “risi e bisi“ oltre a quelli “da supermercato” se ne trovano negli orti di montagna di colori particolari quali il nero e il grigio, adattati a condizioni climatiche dure.
Le fave, anche fresche, resistono al Sud e in Liguria ma secche sono quasi abbandonate: eppure se ne farebbero ottimi polpettoni!
Grazie alla determinazione di una donna, Silvana Crespi, si è ripreso a coltivare e consumare la Roveja, o rubiglio: un pisello selvatico molto saporito, con la cui farina si preparano deliziose creme e polentine.
La cicerchia, simile a un cece ma col gusto meno marcato, sta riacquistando estimatori; il suo abuso un tempo provocava il latirismo, ora potremmo ben utilizzarla per variare le zuppe di legumi.
Una sottospecie di cicerchia legata al Cilento è il maracuoccio, base di saporitissimi crostini. Un risultato interessante scaturito dalle ricerche nutrizionali sui nostri legumi localmente adattati è che in genere sono più ricchi di sostanze benefiche dei corrispettivi commerciali. Si tratta di spunti da approfondire, che inviterebbero a perseguire la strada della riscoperta e ricommercializzazione di varietà locali anche dai piccoli numeri, ma dal grande gusto !
Insomma, l’invito è a sbizzarrirsi in cucina usando più legumi, a beneficio di gusto e salute, provando dai ripieni della pasta alle polpette vegetali alle paste e fagioli asciutte, alle zuppe, e perché no anche a qualche ricetta dolce di ispirazione orientale o di italica fantasia, che si può osare con i fagioli più delicati.
Una volta che ci si è abituati a organizzarsi mettendo in ammollo i legumi il giorno prima, il gioco è fatto e si potranno riscoprire tanti gustosi tesori dei nostri territori.
ma che interessante questo post! Questi fagioli non li conoscevo.
Promuovere i prodotti del territorio, soprattutto quelli di nicchia, sapendoli valorizzare dovrebbe essere il ruolo principale di noi foodblogger,se poi riuscissimo pure a stimolare la ricerca in tal senso, allora sarebbe il massimo! Grazie di aver partecipato!
Ciao Elena, hai perfettamente ragione, il lavoro dovrebbe proprio essere questo. L'ho voluto fortemente perchè nella val ballunese stanno facendo un gran lavoro che andrebbe risaltato.
Grazie mille alla prossima
Erica
Veramente interessante, non li conoscevo. Hanno un aspetto molto carino tra l'altro… Brava 🙂
Ciao Irene, grazie olre all'aspetto hanno un sapore buonissimo.
ciao alla prossima Erica
Molto interessante. Grazie!
Grazie e te !!
Erica
[…] ho utilizzato i fagioli gialèt, regalo di una cara amica, coltivazione di cui ho già scritto qui e vi consiglio di leggerla perchè sarà una […]